The interpreter di Sydney Pollack

USA, 2005

128 minuti

Come Lumet, come Penn, come il più vecchio e controverso maestro Elia Kazan, Sydney Pollack è un grande del cinema civile sposato con le leggi dell’intrattenimento. Lo ha dimostrato con Corvo rosso non avrai il mio scalpo, con Come eravamo, con TootsieThe Interpreter non sarà alla stessa altezza (in particolare dei Tre giorni del Condor, il più affine dei suoi precedenti) ma è comunque la conferma di una mano arcisicura nel maneggiare gli intrecci, e di un pensiero che non si accontenta di fare caciara con gli effetti speciali ma chiede coscienza e riflessione.
Siamo dentro il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite nel quale tentò di entrare Hitchcock con Intrigo internazionale: Pollack è il primo regista a ottenere questo permesso. L’interprete del titolo è Nicole Kidman, un’africana bianca, viene da un paese (di fantasia) del continente nero afflitto da una sintesi di tutti i mali postcoloniali: violenza tra bande, potere corrotto, promesse non mantenute.
Si è lasciata dietro tutto, compreso un forte coinvolgimento personale, per abbracciare una nuova vita in nome del dialogo e della fede nella diplomazia: mestiere e contesto in cui l’esercita ne sono il simbolo.
Scomodo testimone di una congiura in terra americana contro il presidente-tiranno del suo paese, troverà nel contrastato incontro con l’inquirente Sean Penn, il quale ha lui pure un conto in sospeso con la violenza e con i sentimenti e le reazioni che essa induce, una conferma al suo nuovo credo e una svolta sentimentale. Ma non al punto da far degenerare il film nel sentimentalismo. (Da La Repubblica, 28 ottobre 2005)

 

Si erano promessi che avrebbero lavorato insieme. Era successo sul set di «Eyes Wide Shut». Ora sono riusciti a farlo. Sidney Pollack, al suo ritorno alla regia dopo sei anni di assenza (l’ultimo film era stato «Destini incrociati», del 1999) ha diretto Nicole Kidman in «The Interpreter», un thriller politico da primato: perché è la prima pellicola girata all’interno del Palazzo di vetro delle Nazioni Unite. Il segretario dell’Onu Kofi Annan e il consiglio di sicurezza si sono lasciati convincere che le riprese, effettuate il sabato e la domenica proprio per non intralciare i lavori, non sarebbero state un ostacolo, né il film sarebbe stato in conflitto con i valori dell’Organizzazione, anzi sarebbe stato un modo per farla conoscere a un vasto pubblico, per arrivare a una fetta di opinione pubblica altrimenti non raggiungibile. […] (di Francesca Scorcucchi, articolo completo su Il Mattino 9 aprile 2005)