IRAN 2015
82 minuti
Un taxi attraversa le strade di Teheran in un giorno qualsiasi. Passeggeri di diversa estrazione sociale salgono e scendono dalla vettura. Alla guida non c’è un conducente qualsiasi ma il regista Jafar Panahi stesso, impegnato a girare un altro film ‘proibito’.
Panahi è stato condannato dalla giustizia iraniana a 20 anni di proibizione di girare film, scrivere sceneggiature e rilasciare interviste, pena la detenzione per sei anni. Ma non c’è sentenza che possa impedire a un artista di essere se stesso, ed ecco allora che il regista ha deciso di continuare a sfidare il divieto e ancora una volta ci propone un’opera destinata a rimanere quale testimonianza di un cinema che si fa militante proprio perché non fa proclami ma mostra la quotidianità del vivere in un Paese in cui le contraddizioni si fanno sempre più stridenti.
“Una lettera d’amore al cinema. Così il regista americano Darren Aronofsky definì l’opera del “recluso in patria” Jafar Panahi assegnandogli l’Orso d’oro del 65° Festival di Berlino. A ritirare il premio, l’autore iraniano naturalmente non c’era, sostituito dalla nipotina Hana. Girato in gran segreto completamente dall’abitacolo di un taxi, di cui il regista diventa l’autista, il film è mirabile metafora della prigionia artistico/intellettuale a cui è costretto Panahi dal 2010: da quell’abitacolo si ascolta, osserva ed elabora l’Iran di oggi, contraddittorio e martoriato, perennemente inquieto.” (Anna Maria Pasetti, Il Fatto Quotidiano, 27 agosto 2015)