Il verdetto di Richard Eyre

Gran Bretagna, 2017

105 min.

Fiona Maye è un giudice che si occupa di complessi casi di diritto familiare. Un giorno deve decidere sulla condizione drammatica di Adam, malato di leucemia e prossimo alla maggiore età, il quale rifiuta le necessarie trasfusioni di sangue, perché Testimone di Geova. Prima di emettere la sentenza, il magistrato si reca in visita al ragazzo in ospedale: l’incontro faccia a faccia segnerà le vite di entrambi.
Tratto dal romanzo “La ballata di Adam Henry”, dell’affermato scrittore Ian McEwan, il film vede come assoluta protagonista una donna (interpretata dalla superlativa attrice Emma Thompson) nel doppio ruolo di giudice e moglie. E, forse, come si può intuire dall’evolversi della trama, madre mancata.
Estremamente ligia al dovere e identificata con la propria immagine professionale, la cui inflessibile autorevolezza rischia di trasformarsi in rigidità personale, Fiona si porta sempre il lavoro anche a casa, dove subentra una seria crisi col marito Jack, colto e affermato docente universitario, stanco di sentirsi ai margini della vita di coppia e distante, affettivamente e fisicamente, dalla donna che ha sposato, di cui è ancora ─ profondamente e dichiaratamente ─ innamorato. Un vissuto, quello di Jack, covato da tempo, e culminato nella verbalizzazione dell’esigenza di una tragicomica fuga extraconiugale, a cui seguiranno i fatti. La pellicola si sviluppa su questo duplice binario: da una parte la vita professionale di Fiona, con un intricato dilemma da sciogliere in aula in tempi stretti, che interroga alla radice il rapporto tra fede e ragione, morale e legge, sopravvivenza e morte; dall’altro sentimenti e legami privati, con un matrimonio messo duramente alla prova, che rischia di implodere, a partire da silenzi, assenze e mancate comunicazioni.
Le certezze e le sicurezze di Fiona sono messe in discussione dall’incontro con Adam, adolescente “pronto a immolarsi” per via del credo religioso a cui la famiglia aderisce, con l’intransigenza tipica dei fondamentalismi. Il colloquio tra i due, fatto di brevi ma folgoranti battute, riaccende nel ragazzo la luce della speranza, stravolgendo le sue precedenti convinzioni. Come previsto dalla legge, che tutela il diritto naturale alla vita, il tribunale ordina il trattamento medico obbligatorio per tutelare il minorenne, il quale cerca spasmodicamente, una volta tornato
alla normalità di tutti i giorni, un contatto diretto con la persona che gli ha di fatto salvato la vita e riaperto le porte del futuro. Tra messaggi in segreteria, lettere e pedinamenti da parte del giovane, Fiona si ritrova sempre più in difficoltà e costretta a confrontarsi con le proprie emozioni, di fronte al ritrovato vigore e alla incontenibile passione che animano Adam, ostinato ad insistere per essere accolto a tutti i costi nell’esistenza della donna.
Nel mondo di Fiona, fatto di consuetudini, riti e schemi sociali precostituiti (come straordinariamente esemplificato dal personaggio del suo assistente Nigel), ora intaccato dall’infedeltà del marito e dalla sofferenza di una separazione in casa che prelude al divorzio, non sembra esserci posto anche per la possibilità di un rapporto umano imprevisto e sui generis. Ma sotto la superficie della maschera indossata per rispondere alle aspettative proprie e del contesto di
appartenenza, i nodi emotivi iniziano a fare breccia e chiedere il conto: dubbi e domande interiori spingono la donna, in un afflato di rinnovata umanità, scevra da vincoli e pregiudizi, a riprendere il senso delle relazioni, confrontandosi da una parte con la reazione di Adam, diventato nel frattempo maggiorenne, e dall’altra con l’amorevole vicinanza e comprensione di Jack, intenzionato a preservare e far rifiorire la loro unione.
Il tema del libero arbitrio attraversa così tutta la vicenda narrata, portando prepotentemente in primo piano il conflitto tra scelte individuali e imposizione esterne (etiche, ideologiche, legislative o frutto di decisioni altrui). Una tensione di mai facile soluzione, che costella continuamente di bivi i nostri percorsi vitali. “Siamo umani, troppo umani”, avrebbe detto qualche filosofo.
E, nota a margine, non è un caso che nel film sia più volte citato il poeta irlandese Yeats: una figura criptica e imponente della letteratura moderna, che ha saputo raccogliere e condensare le ansie e le inquietudini del suo tempo, senza perdere di vista i richiami simbolici della tradizione e dei miti, utilizzati come filtri e chiavi di lettura del presente.

 

Recensione di Alessandro Cafieri tratta da “Conflitti – Rivista di ricerca e formazione psicopedagogica” (www.cppp.it/conflitti);